lunedì 21 giugno 2010







Due grandi movimenti si fronteggiano in "Prayers for Bobby", film che ripercorre la storia vera di Mary Griffith, fino a raggiungere un climax inevitabile:
da una parte, il desiderio materno di garantire a tutti i costi la Vita Eterna al proprio figlio, dall'altra, l'esigenza di capirsi e di accettarsi del figlio, Bobby.

Al centro del drammatica scontro, un tema dai riflessi multiformi: l'omosessualità.

Bobby è un ragazzo di vent'anni, pulito in viso, "puro di cuore", cresciuto all'ombra di una grande figura materna, ingigantita anche dall'esercizio quotidiano di una fede, esibita con la F maiuscola.
Bobby conosce a memoria i versetti della Bibbia, come un altro ragazzo potrebbe sciorinare la formazione dei giocatori della sua squadra del cuore.
L'affidarsi a Dio, è per Bobby, sinonimo di affidarsi alla sua stessa madre.

In questo rapporto, si insinua il dubbio dell'omosessualità: un dubbio che cresce, diventa vorace, assolutizza i pensieri e la vita di Bobby, con l'emergenza di doverlo risolvere a tutti i costi.
Anche al prezzo più alto di doversi allontanarsi dalla propria amata (e limitante) madre.

"Prayers for Bobby" è un film che, gettate sul tavolo queste premesse, fa lo sforzo di spiegare l'evoluzione dei suoi personaggi.

Il dilaniamento interiore di Bobby è reso attraverso scene veloci, sovrapposte, ritmicamente angoscianti.

La lenta riflessione della mamma Mary, portata per mano dalla vita stessa del figlio alla rielaborazione delle strutture portanti della sua concezione di vita,
è raccontata attraverso l'indugio che il regista Russell Mulcahy fa sul volto segnato dalle rughe attorno alla bocca e gli occhi: una specie di aratura del nuovo sentimento.

Il film vuole anche sottolineare come i percorsi più fruttuosi siano quelli comunitari: Mary non comprenderà l'omosessualità del figlio fin quando si ostinerà a cercare una risposta tutta al singolare nell'interpretazione letterale delle Scritture.
Si aprirà invece all'accettazione del figlio e di sé stessa, quando accetterà un mediatore (il reverendo Whitsell che fungeva da guida spirituale per i ragazzi omosessuali cattolici) tra sé e tutto il mondo di precetti in cui ha limitato Dio.

Un film da vedere perché genera riflessione (i casi di intolleranza verso gli omosessuali sono di frequente presenti nella cronaca) ed anche per ammirare la splendida prova di attrice di Sigourney Weaver: dalla voce, all'atteggiamento corporeo, alle sopra menzionate rughe di espressione, tutto concorre alla bravura di un'attrice che in questa prova diventa Persona.

1 commenti:

Emanuele Macca ha detto...

Grazie per questo bel commento a questo bellissimo film. Da omosessuale credente ci ho lavorato molto su anche per la mia collaborazione con l'AGEDO e con vari gruppi di gay credenti. La tua analisi mi sembra davvero molto bella! Un abbraccio by Emanuele

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