domenica 22 agosto 2010



Una macchina, sulle note vibranti del violino, si allontana dalla grande proprietà che, lentamente, sparisce dietro la curva, sostituita dal paesaggio verde e grigio della campagna belga.
L'ultima scena chiude il cerchio del film, iniziato con la dedica iniziale "a nos limites" (ai nostri limiti), per raccontare come gli oggetti, i possedimenti diventino molto spesso i catalizzatori
di battaglie che nascono prima all'interno, nei cuori.


Pascale è la madre divorziata di Thierry e Francois (Jérémie e Yannik Renier)da, due gemelli venticinquenni, non ancora emersi dall'adolescenza.
Dopo anni di responsabilità familiari avvertite come sacrificio, complice anche l'innamoramento per Jan, Pascale inizia a pensare di vendere la casa che le è stata lasciata dall'ex-marito Luc e dove sono cresciuti i suoi figli per aprire un agriturismo.


Da una sensazione di fastidio per quella che può apparire una scelta egoistica della madre, soprattutto perchè sottolineata dai continui commenti offensivi di Thierry il quale riproduce in casa distortamente gli atteggiamenti paterni, lentamente lo spettatore apprezza lo sforzo di Pascale di costruire, attraverso la propria ricerca di autonomia dalle dinamiche familiari alterate, anche l'indipendenza dei propri figli.


Il conflitto tra Thierry e Pascale, supportata dal più "materno" Francois, nel momento in cui la madre uscirà fuori dalla scena, diventerà quello del fratello contro il fratello.
Per cose apparentemente minori: una moto presa senza chiedere il permesso, il modo di mangiare, una battuta.


Isabelle Huppert porta in scena una madre sul cui viso traspare una stanchezza, mista ad una sorta di rilassatezza emotiva. Non c'è dialogo tra madre e figli: alcuni atteggiamenti ambigui di Pascale anzi l'espongono a commenti sempre più malevoli da parte di Thierry sulla sua vita sessuale. Ma comunque con la sua presenza resta il fragile collante che tiene unita la famiglia.


Il padre Luc, interpretato da Patrick Descamps, una figura fisicamente imponente, è moralmente assente dalla vita dei figli, eccetto per il sostentamento economico, il paletto a cui si aggrappa per le sue rivendicazioni.


Il regista, Joachim Lafosse, resta sombrio e non ingombrante, per dare risalto alla narrazione di dinamiche familiari le quali richiedono sempre uno sforzo di interpretazione profonda: sono quelle catene che tutti conosciamo, un misto di sofferenza e di interessi personali, dalle quali ci sentiamo legati e dalle quali proviamo a liberarci, con goffi e violenti tentativi, che sortiscono l'effetto solo di restringerle sempre più forti.

mercoledì 11 agosto 2010


"Chuyia, ti ricordi di essere sposata?"
La domanda è rivolta dal padre ad una bambina di 8 anni,la quale ha appena perso suo marito. Il suo sorriso spontaneo e il tintinnìo dei braccialettiai piedi spariscono di colpo quando Chuyia entra,forzatamente secondo la tradizione indù, nello status di vedova-bambina (che vuol dire penitenza, preghiera e devozione al marito, come se fosse ancora vivente).
Il film della regista Deepa Mehta parte dal contesto storico del 1938 per narrare una pratica tuttora esistente, definita religiosa, ma economica nella sua essenza: le vedove sono esseri impuri. Devono quindi vivere in ashram a loro dedicati, nelle privazioni affettive ed economiche. Possono chiedere l'elemosina fuori dai templi, non possono mangiare cibo fritto, non devono essere sfiorate, ma possono ricevere "benedizione" prostituendosi con bramini già sposati oppure sposando il fratello minore del marito.
Ogni artista che si possa realmente definire tale, riesce attraverso un "mezzo" a comunicare una visione del mondo.
Il mezzo per Deepa Mehta è nella storia, ma anche nelle inquadrature sempre esteticamente perfette e piene, le quali assieme ad una fotografia partecipe, scolpiscono i personaggi di una vicenda politica nell'essenza.
La politica è infatti presente nel film, dentro e fuori.
Ad esempio, Deepa fa spiegare al protagonista maschile,Narayan, il perchè dell'isolamento delle vedove: una bocca da sfamare e un letto in meno per la famiglia, più spazio in casa.
Ragioni economiche travestite da rispetto per i testi sacri.E le cifre del fenomeno sembrano confermare questa tesi:le vedove nel mondo sono 245 milioni di cui 43 milioni soloin Cina e 42.4 milioni in India.115 milioni di esse vivono in totale povertà.
Il dato politico è emerso anche dalle dure contestazioni degli integralisti indù, arrivate fino al punto di bruciare il set o alle minacce di morte rivolte alla regista e agli attori del fim, che hanno costretto la produzione canadese a girare in segreto in Sri Lanka.
"Water", che fa parte della trilogia che comprende anche "Earth" e "Fire", mutua il suo messaggio anche dalle proprietà dell'acqua del fiume Gange nel quale si scende ogni mattina per lavarsi.
La modifica della condizione delle donne deve essere un processo fluido,costante che non deve riguardare solo le donne. Il processo è culturale per l'intera comunità ed è molto significativoche Deepa Mehta scelga un uomo giovane (e colto seguace di Gandhi) per spiegare alle vedove i veri motivi della loro condizione.
Concludo dicendo che il film ha una sua aurea potente che lo innalza al valore più antico di storia/Storia e che ci si offre come un piccolo gioiello d'arte cinematografica.Voto 10.

lunedì 2 agosto 2010


Ae Fond Kiss è un “classico” film sull'Integrazione Multiculturale.
Classico perchè riproduce la realtà che ci si aspetta di vedere in termini di mancata integrazione,
classico perchè parla di una storia di amore.
Ho cercato molto in giro questo film uscito nel 2004, perchè mi interessava vedere come l'Inghilterra vivesse, anche se attraverso gli occhi del regista Ken Loach, un conflitto che,
non è solo razziale, ma generazionale.
Un'altra artista inglese, la scrittrice Zadie Smith, aveva raccontato questo conflitto nel libro
Denti Bianchi”(recensito dalla sottoscritta per la rivista letteraria Samgha), facendoci innamorare dei suoi personaggi, dai genitori ai figli, ai nipoti.
In questo film, invece si acuisce il contrasto tra Casim, unico figlio maschio di una famiglia di origine pakistana, ed i propri genitori, a causa di un matrimonio già prestabilito.
Sembra cioè che sia il contrasto il vero protagonista del racconto: i personaggi sono azzeccati, ma difficilmente riescono a scrollarsi di dosso la figura di figlio/a, genitore, insegnante, prete. Il pregiudizio, che sia dei neri contro i bianchi e viceversa o degli immigrati verso il popolo ospitante, domina la vita di ognuno, oscura una possibilità di conoscenza
che richiede cultura ed empatia.
L'unica sfumatura diversa è data dalla narrazione della storia d'amore tra Casim e l'irlandese Roisin: il loro amore si fonda sulla naturalezza.
Nelle dinamiche che coinvolgono strettamente i due ragazzi domina il desiderio di conoscersi e fidarsi/affidarsi l'uno all'altro. La diversità è solo negli occhi esterni alla coppia che viaggia su un binario profondamente umano, quello del cuore, che non conosce le distinzioni di ruolo, classe o colore (e se le conosce prova ad infrangerle).
Non è un film che propone soluzioni o prospettive innovative per l'Integrazione: semplicemente fotografa quello che è, come sia standardizzato quello che è, e come possano essere sballati tutti i pregiudizi quando a guidare non è il ruolo che si gioca in società, ma un vivere diverso. Proprio da essere umano.
 

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