domenica 28 marzo 2010


Metti un agriturismo. Metti anche una camera singola con terrazzino. Metti 10 persone che hanno talento letterario insieme con tre editor.
Dei dieci, uno, solamente uno vedrà il frutto delle sue fatiche realizzarsi: la tanto agognata pubblicazione del proprio libro.
Alla modica cifra di 1200 (se ti iscrivi alla selezione entro il 20 aprile, 1400 se sgarri anche di un solo giorno!).
Nasce la Fattoria degli Scrittori.
Una settimana full-immersion in cui tra passeggiate e luoghi ameni, suderai sette camicie scrivendo anche sette ore al giorno
ed avendo la possibilità (?) di confrontarti con i tuoi colleghi-nemici e i tre editor.
Quando ho letto la notizia, ingenuamente ho esultato. Evvai! ho pensato, una reale possibilità di crescita nella scrittura!
Poi, leggendo le specifiche dei requisiti di partecipazione, sono stata assalita dai dubbi...tanti dubbi...tantissimi dubbi.
Punto 1. Mi chiedo: perchè far pagare? La vera rivoluzione dell'operazione sarebbe stata quella di applicare per una volta sola in Italia, un criterio meritocratico. Punto e basta.
Invece sembra una di quelle ennesime operazioni editoriali in cui ti inviano un bel contrattino già stampato (avendo solo letto i tuoi scritti, ma senza neanche averti guardato in viso) in cui sono lieti di comunicarti che pubblicheranno il tuo libro alla modica cifra di 2500 euro, da versare in comode rate mensili.
Punto 2. Alcune immagini di questa conviviale esperienza potranno essere trasmesse via web o in qualche televisione. Entra il concetto di reality anche nella Letteratura, camuffato dall'idea di far vedere come lavora un team editoriale? E loro ci guadagneranno dalla vendita di queste immagini?
Punto 3. Forse anche gli editori, viste le recenti esperienze di reality che svolgono il ruolo di talent scout nella discografia, pensano di utilizzare lo stesso meccanismo sfrondante del reality nel quale già si presentano i più mediamente dotati, i quali vengono raffinati dal confronto con alcuni maestri. Ma qui, il tempo è breve. Troppo breve: solo una settimana.
Concludo dicendo che limitare la Letteratura nei pollici di una televisione o dello schermo piatto di un pc può contenere in sè la banalizzazione dell'esperienza della scrittura. Che è un'esperienza al contrario di cesello, di riflessione, di costruzione e ricostruzione, infine, di creazione.
L'esempio topico ci è già stato servito sul piatto d'argento da Aldo Busi, all'interno dell'Isola dei Famosi. Forte dell'amore per l'unità degli opposti, questo scrittore-paroliere e tutor ha tentato un'esperimento estetizzante (cito testualmente) che sarà stato compreso solo e forse dal 2% degli spettatori dell'Isola. La tv fagocita il pensiero, mentre la Letteratura amplifica il pensiero.
Ma forse sono solo io che non ho compreso a pieno lo spirito nascosto (Bertrand Russell direbbe il "bene nascosto") in questa operazione commerciale. Forse un'opportunità ad uno di questi dieci verrà data davvero (senza la richiesta di ulteriori versamenti).
fORSE.
Se ci/vi/ti interessa il sito è http://www.lafattoriadegliscrittori.it/

lunedì 22 marzo 2010


Una storia composta di blocchi narrativi ed emotivi.
I primi sono funzionali ad un racconto che partedal dopoguerra della Germania Post-Nazista, fino ad arrivare agli anni '70.
I blocchi emotivi non sono invece fluttuanti. Crescono i personaggi, invecchiano, ma i loro nodi interiori non si sciolgono.
La storia dell'incontro tra uno studente quindicenne ed una donna discreta dai modi ridigi e scattanti è la giusta metafora della implosione tra la generazione dei tedeschi che hanno visto il crollo della Germania nazista e la nuova generazione dei tedeschi spensierati, puliti , ignari.
Il ponte è rappresentato dai libri, letti a voce alta Michael ad una Anna dissimulatrice di un passato oscuro di ignoranza e violenza.
Anna Schmitz infatti era stata una sorvegliante nei campi di concentramento. Una donna dedita al lavoro, precisa riguardo alle procedure (seppure di morte), acritica.
Il ruolo della cultura nel film, anche "solo" rappresentato dalla capacità di saper leggere serve ad illuminare i chiaroscuri presenti nella storia personale e sociale di un personaggio come Anna, la quale esegue gli ordini, galvanizzata dal pensiero unico e dominante.
Ma questa realtà non serve a farci amare di più Anna oppure a perdonarle di esser stata complice nell'uccisione di 300 ebrei.
Leggere, riflettere, scrivere sono rappresentati come atti la cui importanza risulta spaventosamente oggettiva proprio attraverso il caso contrario, quando cioè non sono presenti a formare l'identità ed il pensiero di una persona.

domenica 21 marzo 2010













Un immaginario proropente ed autonomo ha guidato Octavia Monaco attraverso i meandri della propria ed altrui conoscenza.
Dalla folla di personaggi non descrittivi, la Grande Madre si erge severa, mitica e bellissima
a scandire il ritmo ritrovato del dialogo tra l'Uomo e tutto il resto.

lunedì 8 marzo 2010



Come dardi
trafissero la mia schiena china

Mi scrutavano

Mi spogliavano
della durezza delle mie spalle
dell'asperità dei miei pensieri

Mi voltai
e ivi incontrai l'ampiezza della mia miseria




domenica 7 marzo 2010


E' stato definito il "film scandalo sull'immigrazione". Ha generato controversie e dibattiti, fin
da quando è stato presentato all'ultimo Festival di Berlino. Il regista, Philippe Lioret, ha accumunato le leggi repressive per i Francesi che aiutano i clandestini (e di cui si racconta nel film) a quelle vigenti durante la follia nazista contro gli ebrei.
E' "Welcome", uno degli ultimi film del 2009 a scagliarci in una riflessione a-temporale.
Si narra della storia di Bilal, un diciassettenne curdo, il quale attraversa tutta l'Europa per sfuggire alla guerra e per raggiungere l'Inghilterra, e la sua ragazza Mina.
L'ostacolo è Calais. Un tempo il varco per riportare la libertà in Europa (le truppe alleate scelsero il Pas de Calais come approdo in Normandia), oggi Calais è la "giungla di Calais", un non-luogo dove molti clandestini provano ogni mezzo per la traversata verso l'Inghilterra.
Il film descrive l'abbandono morale di questa realtà. E' un limite Calais, non solo geografico, è un limite morale, anzi è il limite dell'amoralità che abbiamo già sorpassato.
Calais come Rosarno.
Quello che mi ha colpito profondamente di questo film è l'opposizione tra la tenacia alla vita dei migranti e la durezza delle leggi francesi (fino a cinque anni per chi aiuta un clandestino), che rendono uno slogan volgare le parole Libertè, Egalitè, Fraternitè.
Quando le recenti leggi sulla clandestinità sono passate anche in Italia, ho personalmente pianto come una bambina. Pensavo che un'altra aberrazione fosse stata aggiunta alla lista, ma poi, la normalità prende il sopravvento, il sole splende di nuovo, i tuoi problemi ti arraffano e non senti più l'urgenza di combattere contro lo stesso concetto di clandestinità.
Poi succede che incontri una persona "clandestina" (nessuno nasce clandestino in natura, sono gli uomini gli artefici di tali concetti) , ci parli, ti sorride e scopri quanto sia alta l'ingiustizia stessa di definire tale un essere umano e come tale ingiustizia possa incarnarsi nei lineamenti stanchi di un ragazzo o di una ragazza.
Perchè come per Bilal, il protagonista del film, di gioventù bruciata stiamo parlando. Non quella bruciata dall'alcool o dalle droghe, ma bruciata dalla voglia di vita. Ostacolata fino alla morte.
Questo film, profondo e sofferente, è un importante strumento per meditare sulla direzione intrapresa dalla nostra amata Europa.
 

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