sabato 18 dicembre 2010

"Il tempo" non è meramente una condizione oggettiva:
esso è plasmato essenzialmente da una forte volontà.
In altre parole, una buona epoca si crea con la volontà di lottare
e
di vincere,
un giorno dopo l'altro,
con assiduità e fermezza.
Il tempo giusto
non è qualcosa che dobbiamo aspettare, ma qualcosa che noi stessi
creiamo.

Daisaku Ikeda, B&S143,61
--

venerdì 3 dicembre 2010






















Vi presento l'arte di Emiliano Ponzi.
Artista milanese, molto amato a New York, unisce lirismo ed immaginazione, provocando
quel senso di dolce straniamento che ci risveglia dall'indotto nostro coma quotidiano.

domenica 28 novembre 2010


Vi è mai capitato di guardare qualcosa che non avete mai visto prima, e sentirlo comunque profondamente familiare?

A me è accaduto con questa immagine del Buddha d'oro, ma che potrei ribattezzare anche il
Buddha dalle lunghe orecchie.

La prima cosa che mi ha colpito è stato il colore della fotografia: d'oro...ma un dorato riappacificato con sè stesso, meno eclatante.

E poi i lunghi lobi, orientati verso il corpo stesso del Buddha: sicuramente c'è una simbologia profonda in questa scelta rappresentativa, ma io l'ho interpretata come una dilatazione dell'arte di ascoltare, il mondo prima, se stessi sempre.

Sentivo inoltre che questa immagine aveva una sua storia da raccontare, ed ho deciso di chiederla direttamente alla fotografa che l'ha scattata: Natalia Robert.
Ecco il link al suo negozio on line, Fullcircleimages, dove potrete trovare le immagini scattate in giro per il mondo.
Ed ecco, una piccola intervista che Natalia mi ha gentilmente rilasciato per spiegarmi il suo percorso artistico e la "storia" di questa fotografia:

1. Tell us about your creativity path and why did you choose the art of photography?
Photography actually seemed to choose me. When I was 16 I went on a family vacation. Right before the trip, my parents gave me an old Mamiya camera that had been theirs. It was my first “real” camera, and I fell in love with it! When it came time to choose a university, I decided to go into architecture so that I would have a more stable degree, but wanted to keep doing photography also since it was my passion. The school I went to encouraged all artforms and had 6 or 7 darkrooms that were available to students, so I learned the basics of a darkroom and began exploring. I’d spend entire nights in the darkrooms, and soon it became my escape from the stress of classes. With the exception of one basic beginner’s course, I have been completely self-taught in photography and continue to learn. I love exploring, and the challenge of trying to capture the essence of a place or person in a photo is what keeps me going to this day. A professor once taught me that one needs to “make the familiar strange, and the strange familiar.” Those words of advice have since become the foundation for my journeys with photography.
************************************************************
2. Can you tell us the story behind the beautiful image "the golden buddha"?
This photo was taken in 2007 in Bangkok, Thailand. I was there with family and had agreed to take a city tour (I normally prefer to roam a city without a guide). The highlight of the tour for me was a stop in a small neighborhood temple. It was crowded, it was cramped, and it was completely alive. You could smell the incense in the air just as strongly as you could hear the motorcycles zooming by. Once you entered the temple there was a sort of peace, and you almost forgot about the craziness outside those doors. There were several Buddha statues inside, and this one was off to one side and had been beautifully adorned with flowers by worshippers. The pink flowers stood out on the gold statue body and I couldn’t resist snapping a few photos before having to rush onto the next stop.
**************************************************************
3. Why have you chosen Etsy to show and sell your pictures?
I heard about Etsy a couple of years ago from a friend, but hadn’t seriously considered it for my photos until this year. I tried doing some street fairs and local markets, but found that it was a lot of work and expense for very little return. I decided to give online shops a try. Aside from having great rates for listing and commissions, Etsy has a great community that you don’t find in most online markets. I loved that it was true to its goal of selling handmade or antique objects. I also loved that there was an enormous amount of support for the sellers. Etsy’s helped me connect with artists and art lovers in different corners of the world, and that’s something I could never do with a brick and mortar shop or by working at local street fairs. To this day, Etsy is still a great support system for me as I expand my shop.
**************************************************************
Raccontaci il tuo percorso artistic e perchè hai scelto l’arte della fotografia?

E’ la fotografia ad aver scelto me!
A 16 anni, prima di partire per una vacanza, i miei genitori mi regalarono una vecchia macchina fotografica Mamiya. La mia prima vera macchina fotografica e… fu subito amore!
Quando dovetti scegliere la facoltà universitaria da seguire, decisi per architettura, ma volli comunque portare avanti la mia passione per la fotografia.
L’università che frequentavo incoraggiava tutte le espressioni artistiche: c’erano 6/7 camere oscure a disposizione degli studenti. Decisi di imparare i fondamenti della fotografia, e da allora ho iniziato a sperimentare.
Ho passato intere notti all’interno della camera oscura, il mio rifugio dallo stress da studio.
A parte i corsi per imparare i fondamenti della fotografia, per il resto sono stata un’autodidatta che ancora oggi continua ad imparare.
Mi piace esplorare e la sfida di catturare l’essenza di un posto o di una persona ritratta è ciò che mi ha portato fin qui.
Un mio professore mi lasciò questo insegnamento: quello che è necessario (nella fotografia) è rendere familiare ciò che è sconosciuto, e sconosciuto ciò che già conosciamo.Queste parole sono sempre state un fondamento del mio viaggio nella fotografia.
*************************************************************
Raccontaci la storia dell’immagine del “Buddha d’oro”.
La foto fu scattata a Bangkok, Thailandia, nel 2007.
Ero lì con la mia famiglia e decidemmo di fare un giro per la città.
Il momento più importante fu quando ci fermammo in un piccolo tempio: fuori era pieno di gente, si camminava a fatica tanto era brulicante di persone!
Dal tempio arrivavano ondate di profumo di incenso così forti, quasi come il rumore dei motori che ti sfrecciavano accanto.
Una volta entrati nel tempio, venivi accolto da una sensazione di pace, che ti faceva quasi dimenticare la follia che c’era fuori.
C’erano diverse statue del Buddha. Questa statua era su un lato. Era stata adornata dai credenti con dei fiori.
I fiori rosa emergevano sull’oro del corpo della statua.Non ho resistito, ed ho scattato alcune fotografie, prima di correre verso un’altra meta.
*************************************************************
Perchè hai scelto il sito Etsy.com per mostrare e vendere le tue fotografie?

Un mio amico mi parlò di Etsy circa due anni fa, ma ho seriemente preso in considerazione questo sito per le mie foto solo quest’anno. Sono stata in alcune fiere e mercati locali, ma il ritorno economico era piccolo a fronte di un grande lavoro. Così ho deciso di aprire un negozio on line.
Etsy ha una grande community che non trovi nella maggior parte dei market on line, ed inoltre amo che promuova la vendita di oggetti antichi e/o artigianali. Inoltre, offre un grande supporto per i veditori. In ultimo, ho avuto la possibilità di conoscere artisti e amanti dell’arte, cosa che non avrei mai potuto fare con un negozio tradizionale o lavorando nelle fiere locali.

sabato 13 novembre 2010


Ciao a tutti!
Circa un anno fa, nasceva "Suomii at Work", il blog.
Ed ora che comincia a manifestare la sua vera personalità (blog ribelle che non è altro!), come tutti i pargoli capricciosi, ha chiesto alla sua mammina (ehm, ehm, io!)
un fratellino...
E come non accontentarlo? :-)
Ed ecco a voi, fragrante cone un panettino appena sfornato, il nuovo blog
Perchè due blog differenti? (Si faccia una domanda, e si dia una risposta!)
Beh, essenzialmente perchè "Suomii at Work" ha un suo percorso ed un'attenzione tutta speciale per la Creatività & la Multiculturalità, mentre "Pop Mosaic" rappresenta la parte di me che deve fisicamente creare.
Questo secondo blog racconterà principalmente il mio percorso creativo, in parallelo con il laboratorio di idee che ormai è Suomii at Work: un pò mio ed un pò della meravigliosa poetessa Smandru tra le Nuvole.
Che fate? Mi seguite anche in questa nuova avventura?
Kisses,
Suomii.

sabato 30 ottobre 2010

Tra le piacevoli sorprese che Youtube ogni tanto ci regala, piano piano dalla sua nicchia di appassionati, sta emergendo Karim Tiar, nome d'arte il Karinzio, il quale con una tecnologia domestica e allo stesso tempo altamente professionale, ci porta a conoscere (ed evitare!!!) con ironia e competenza alcuni gioielli del cinema definiti "trash".

Il concetto di trash ingloba tante sfumature: bruttezza, incompetenza, risorse limitate, a volte talenti alle prime armi.

E produce sane, anzi no sanissime risate che Karinzio amplifica con la sua naturale dote di comicità.

Quindi, sedetevi comodi, preparate fazzolettini (per asciugarsi le lacrime per la disperazione e il divertimento) e godetevi i video che Karinzio – con una sempre maggiore bravura – pubblica nel suo canale di Youtube: www.youtube.com/Karinzio, insieme all'intervista che mi ha gentilmente rilasciato. J


Siamo qui con Karinzio beccato al volo tra una ripresa e l'altra del suo canale youtube Karinzio, che ci introdurrà nel fantastico mondo del cinema trash.


Suomii: Ciao Karinzio, spiegaci subito cos'è per te il trash?

Karinzio: Ecco il trash ufficialmente sono quei film così brutti, ma così brutti da toccare il sublime, e che, non intenzionalmente, strappano delle risate! Ma devono essere delle vere ciofeche!!! E In Italia vantiamo il film più brutto del mondo!!!

Suomii: Ah sì, e di quale film si tratta?

Karinzio: Si tratta di "Troll 2" di Claudio Fragasso che allora uscì per il mercato mondiale sotto lo pseudonimo di Drake Floyd. La critica internazionale si è espressa all'unisono nei confronti di questo scempio cult. Fragasso è stato quindi la vittima di una mia delle mie prime recensioni ...

Suomii: Appunto volevo chiederti come scegli i film da recensire? La scelta è basata solo sul concetto di trash?

Karinzio: Bella domanda.. diciamo che parto da una cultura di vecchi film.

Ho iniziato ad interessarmi alle serie apocrife per dirla tutta già negli anni '90. Negli anni successivi, ho cercato gli articoli su quei film appena intravisti in tv o nello scaffale delle videoteca di turno. Leggendone i commenti ne venivo attratto e faccio tutt'ora in modo di procurarmi quel tale film .. e se mi inorridiscono a sufficienza traduco questo brivido in recensione.

Preciso che per serie apocrife intendo la mania tutta italiana di fare dei falsi Terminator 2 o Zombi 2 assolutamente non originali che fanno da specchio per le allodole al pubblico meno esperto.

Suomii: ma il tuo intento reale è di invogliarci a guardarli oppure scapparne a gambe levate?

Karinzio: Eheheh! Allora da un lato è una cosa che voglio condividere come punto di vista e come sfogo pure. In casi estremi , cerco di ragguagliare lo spettatore ad evitare la visione del film assolutamente. Poi è liberissimo di farlo, a suo rischio e pericolo!

Suomii: Pensi che questi film rappresentino - a loro modo - uno sforzo creativo o sono semplici operazioni commerciali?

Karinzio: Spesso i film tipicamente trash includono un' incompertenza registica con un bassissimo budget, unitamente a una risibile recitazione.

Ma può anche capitare che un film trash possa diventare un capolavoro. Mi riferisco ad esempio a Cameron che con un Terminator con budget da B-movie abbia poi scatenato un fenomeno .. lì evidentemente c'era una storia e siamo arrivati a Titanic o Avatar.. ma sono casi di talenti alle prime armi. Ci sono poi i casi di strategia commerciale del produttore che preda sull'anima del regista ( se un' anima possiede..)

Suomii: i tuoi video stanno diventando sempre più professionali… parlaci del tuo approccio alla loro costruzione.

Karinzio : il mio approccio vorrebbe essere come del migliore un amico che ti racconta il film che ha appena visto con tutto l'entusiasmo e la foga relativa. Con questo speravo di ottenere un consenso almeno iniziale...ma senza pretese di critica d'arte o altro ..Un po' alla volta tutto è diventato una vera e propria rubrica. Quindi, il linguaggio deve essere già più autorevole.. ma sempre e comunque amichevole, accessibile,easy

Suomii: I tuoi video sono molto curati nel montaggio e ci sono alcuni effetti speciali legati alle tue "apparizioni": disponi di una tecnologia molto avanzata?

Karinzio: Diciamo che ho un attento e fissato uso delle tecnologie.. Sono di questa filosofia: se lo usano i professionisti, io devo impadronirmene.

Suomii: Ritorniamo al concetto di trash: lo consideri a suo modo cultura?

Karinzio: Secondo me, si. La cultura è un substrato di prodotti discutibili che hanno occupato comunque indegnamente un pezzo di storia del cinema che non può sempre essere lustro ..

Suomii: Spiegaci da dove nasce la tua passione per il cinema e - direi - anche per la recitazione…

Karinzio: Da piccolo, quando andavo a trovare la famiglia di mio padre dalle parti di Parigi, avevo tutti i miei zii altrettanto appassionati che mi portavano a vedere un sacco di film. Forse associo l'essere coccolato a questo meravigliosa magia.. ma credo che la passione sia frutto dei primi cartoni animati. Il mio primo film fu Pinocchio su grande schermo alla tenera di 3 anni. E' una passione piuttosto comune credo .. e quella a cui mi riferisco riguarda non solo i film trash...

Suomii: Ok, ringraziamo allora Karinzio per questa intervista: un simpatico traghettatore nel fantastico mondo del cinema orribile! Ci fai un saluto?

Karinzio: Ci vediamo allora innnnn Century... ZOZZ! Ciao a tutti gli amici del blog! e grazie a te Suomii...


Ecco a voi la recensione di Resident Evil Afterlife 3D

domenica 24 ottobre 2010

Ma chi l'ha detto che le foglie d'autunno sono tutte gialle? :-)
My Etsy.


Ritorno a respirare, dopo tanta apnea...
Le mani si rimettono al lavoro...
clicca qui per le altre foto

lunedì 27 settembre 2010



Hands in Solidarity, Hands of Freedom

domenica 26 settembre 2010





Rokia ha sempre sentito dentro di sè un "suono", una musica tutta sua che doveva trovare un'espressione.

Figlia di diplomatici ha viaggiato in Europa, Medio-Oriente, Usa. Ed ogni musica ascoltata si è fusa, amalgamata con la potente radice africana.

Cosciente quasi sin da subito di non voler essere una cantante folk, ha accolto nella sua anima musicale la tradizione malese, dandole una forma personale e direi "universale".

Rokia infatti fa parte di quella generazione di artisti fortemente connotati ma universali: in grado di trasportare con il suono di una voce unica la musica oltre i confini geografici e di mostrarci - come su un vassoio di argento - i mille riflessi di melodie lontane dal nostro orecchio occidentalizzato.

Si, perchè veniamo portati per mano in questo viaggio nella musica africana da una traghettatrice di eccezione - per talento e bravura - la quale ci mostra il lungo continuum che c'è tra i ritmi arcaici ed il blues, il jazz.

La sua versione di "The Man I Love" è un esempio di questo sincretismo: parte così come la conosciamo, caposaldo del jazz, per virare dolcemente verso i gorgheggi africani.

Nel viaggio, una compagna inseparabile per Rokia: la sua chitarra elettrica Gretsch che si mischia con i tradizionali strumenti n'goni e balafon.

Elegante e minuta, ma non lasciatevi ingannare: la sua immagine artistica è forte e trasuda cultura.

Anche quella della scrittura dei testi (incentrati anche sui temi dell'emigrazione e della condizione delle donne) e della raffinata arte che accompagna le copertine dei suoi dischi.


per acquistare i suoi album (ad un prezzo irrisorio):


domenica 19 settembre 2010





Straniamento: è questo il leit motiv di "The American", il film del regista Anton Corbjn, con George Clooney e Violante Placido.


Jack, il protagonista, killer professionista ed esperto di armi uccide, durante un agguato in Svezia, una ragazza che stava frequentando, solo per non svelare la sua vera identità.


Tale omicidio "gratuito" rimarrà come un peso sulla coscienza di Jack, il quale entra in una fase della sua vita in cui "inizia a perdere colpi", a compromettere cioè la macchina oliata delle azioni criminali nelle quali è coinvolto perché è stanco di quella vita stessa.


Lo straniamento, va detto, a volte coglie anche lo spettatore (almeno a me è successo così!) che da un thriller si aspetterebbe qualcosa di diverso: più azione,


più ritmo: invece c'è molto più movimento interiore nel personaggio, anche se va colto attraverso le pause, i silenzi e le camminate.


Un merito: l'aver rappresentato geograficamente l'Abruzzo, con le sue valli larghe ed a volte desolate con una fotografia apprezzabile.


E' il resto della rappresentazione dell'Italia che lascia un po' a desiderare : vecchietti nei bar, vecchietti nelle piazze, baristi che guardano un film di Sergio Leone, un bordello in un paesino di provincia, processioni religiose.


Un'Italia vecchia, antica a tratti con i suoi borghi medioevali, ma statica, ferma su sé stessa è lo sfondo in cui il cambiamento del protagonista richiede forse un luogo esteriore sempre uguale a sé stesso.


George Clooney riesce a rappresentare un uomo algido, freddo, una macchina di morte, ma manca qualcosa soprattutto nella rappresentazione del tormento interiore.


Violante Placido, la quale interpreta una prostituta, ha un solo momento di intesa attoriale con Clooney: lui è seduto al bar, lei passa davanti alla vetrina con l'amica, lo vede, entra ed inzia un dialogo tra i due che si svolge soprattutto attraverso i loro sguardi: una scena in cui tra i due protagonisti scorre un'emozione più intima.


Voto: 6

lunedì 13 settembre 2010


Cito testualmente dalla biografia della sua pagina di MySpace: “ Musicalmente e geograficamente, Natacha Atlas è sempre stata un’itinerante”.

Ma credetemi questa definizione è solo parzialmente esaustiva dell’enorme lavoro di ricerca musicale e di indiscussa bravura che rende l’ascolto di un cd di questa artista un’esperienza da dover fare.

Il “trionfo del multiculturalismo” nel suo caso è puro contenuto: senti all’interno della sua voce sensuale e ipnotica, l’aver macinato interiormente la cultura anglosassone e quella egiziana dell’origine parentale.

Ma poi, è tutto un vagare: ascoltando un cd come “Mounqaliba” mi sono ritrovata in Oriente, e poi scagliata in un piccolo club di jazz newyorkese, per poi passaggiare romanticamente sotto quel grande ferro che è la Tour Eiffel.

Nata in Belgio, Natacha è cresciuta in un sobborgo a prevalenza marocchina a Bruxelles e ha presto imparato a destreggiarsi in Francese, Inglese, Arabo e Spagnolo.

La sua vita è stato un movimento continuo ed un cross-over di luoghi che le hanno valso collaborazioni importanti (vedi anche con Franco Battiato in “Ferro Battuto”, per citarne solo una) e riconoscimenti come Miglior Cantante al Victoire de la Musique Awards (i Grammy francesi).

Da non sottovalutare poi, l’impianto anche concettuale presente nei suoi lavori: sempre in “Mounqaliba”, le melodie arabe, ispirate alla tradizione egiziana, sono intervallate da interludi classici e voci di intellettuali che spiegano come “men are moulded by culture” (gli uomini sono modellati dalla cultura).

Però, è proprio questo che rende l’ascolto indimenticabile: l’idea di una Nuova Cultura, mista e preziosa, odierna ed antica, che non perde nulla, ma acquista un sapore conosciuto.
Solo da reimparare.


domenica 12 settembre 2010












Nelle crepe di un mondo imbestialito, si intravedono rararmente spiragli di fulgida bellezza: una scultura significante, un dipinto che invade il cuore, una poesia potente.


Frutti di una cultura umana sopraelevata, quando li incontriamo hanno il potere di uno schiaffo
ristoratore o di quella carezza che aspettavamo da tempo, senza avere il coraggio di chiederla.

Tuba Sahaab è una donna giovanissima: 11 anni. Una bambina?
No,una donna giovanissima: se il contenitore deve esaltare il contenuto, questa è una definizione possibile.

Ed è una poetessa: i suoi versi che hanno raggiunto i quattro angoli del pianeta, partono
dalla periferia di Islamabad nel Pakistan ed, in linea retta, giungono a me, a te, a chiunque abbia voglia di svegliarsi.

Piccole lacrime
le loro facce simili a quelle degli angeli
lavate col sangue.
Loro dormono per sempre con rabbia

Un'ambasciatrice della cultura a tutti gli effetti: la piccola signora delle parole, con il suo
talento stesso, è un simbolo contro la non-cultura repressiva ed oscurante dei talebani,
i quali impediscono alle bambine di ricevere un'istruzione e alle donne di lavorare.

Mi piace molto Tuba: la immagino scrivere un ponte di parole, invisibili e ferme come marmo, per passare dall'altra parte e raggiungere la mano del primo che volesse - cieco! - scagliare
la pietra contro Sakineh.

venerdì 3 settembre 2010

















"Per favore, faccia un bel respiro e dica '70!!!!" E' questa la nuova formula per l'elisir di lunga giovinezza: un tuffo un pelino indietro in un tempo, quello degli anni Settanta, fatto di colori a tinte forti, contrasti e nuovi miti che esplodono di forza espressiva non appena li rievochi.
Questa è l'arte di Francesco "Cisky" Gabriele.
Enjoy!




domenica 22 agosto 2010



Una macchina, sulle note vibranti del violino, si allontana dalla grande proprietà che, lentamente, sparisce dietro la curva, sostituita dal paesaggio verde e grigio della campagna belga.
L'ultima scena chiude il cerchio del film, iniziato con la dedica iniziale "a nos limites" (ai nostri limiti), per raccontare come gli oggetti, i possedimenti diventino molto spesso i catalizzatori
di battaglie che nascono prima all'interno, nei cuori.


Pascale è la madre divorziata di Thierry e Francois (Jérémie e Yannik Renier)da, due gemelli venticinquenni, non ancora emersi dall'adolescenza.
Dopo anni di responsabilità familiari avvertite come sacrificio, complice anche l'innamoramento per Jan, Pascale inizia a pensare di vendere la casa che le è stata lasciata dall'ex-marito Luc e dove sono cresciuti i suoi figli per aprire un agriturismo.


Da una sensazione di fastidio per quella che può apparire una scelta egoistica della madre, soprattutto perchè sottolineata dai continui commenti offensivi di Thierry il quale riproduce in casa distortamente gli atteggiamenti paterni, lentamente lo spettatore apprezza lo sforzo di Pascale di costruire, attraverso la propria ricerca di autonomia dalle dinamiche familiari alterate, anche l'indipendenza dei propri figli.


Il conflitto tra Thierry e Pascale, supportata dal più "materno" Francois, nel momento in cui la madre uscirà fuori dalla scena, diventerà quello del fratello contro il fratello.
Per cose apparentemente minori: una moto presa senza chiedere il permesso, il modo di mangiare, una battuta.


Isabelle Huppert porta in scena una madre sul cui viso traspare una stanchezza, mista ad una sorta di rilassatezza emotiva. Non c'è dialogo tra madre e figli: alcuni atteggiamenti ambigui di Pascale anzi l'espongono a commenti sempre più malevoli da parte di Thierry sulla sua vita sessuale. Ma comunque con la sua presenza resta il fragile collante che tiene unita la famiglia.


Il padre Luc, interpretato da Patrick Descamps, una figura fisicamente imponente, è moralmente assente dalla vita dei figli, eccetto per il sostentamento economico, il paletto a cui si aggrappa per le sue rivendicazioni.


Il regista, Joachim Lafosse, resta sombrio e non ingombrante, per dare risalto alla narrazione di dinamiche familiari le quali richiedono sempre uno sforzo di interpretazione profonda: sono quelle catene che tutti conosciamo, un misto di sofferenza e di interessi personali, dalle quali ci sentiamo legati e dalle quali proviamo a liberarci, con goffi e violenti tentativi, che sortiscono l'effetto solo di restringerle sempre più forti.

mercoledì 11 agosto 2010


"Chuyia, ti ricordi di essere sposata?"
La domanda è rivolta dal padre ad una bambina di 8 anni,la quale ha appena perso suo marito. Il suo sorriso spontaneo e il tintinnìo dei braccialettiai piedi spariscono di colpo quando Chuyia entra,forzatamente secondo la tradizione indù, nello status di vedova-bambina (che vuol dire penitenza, preghiera e devozione al marito, come se fosse ancora vivente).
Il film della regista Deepa Mehta parte dal contesto storico del 1938 per narrare una pratica tuttora esistente, definita religiosa, ma economica nella sua essenza: le vedove sono esseri impuri. Devono quindi vivere in ashram a loro dedicati, nelle privazioni affettive ed economiche. Possono chiedere l'elemosina fuori dai templi, non possono mangiare cibo fritto, non devono essere sfiorate, ma possono ricevere "benedizione" prostituendosi con bramini già sposati oppure sposando il fratello minore del marito.
Ogni artista che si possa realmente definire tale, riesce attraverso un "mezzo" a comunicare una visione del mondo.
Il mezzo per Deepa Mehta è nella storia, ma anche nelle inquadrature sempre esteticamente perfette e piene, le quali assieme ad una fotografia partecipe, scolpiscono i personaggi di una vicenda politica nell'essenza.
La politica è infatti presente nel film, dentro e fuori.
Ad esempio, Deepa fa spiegare al protagonista maschile,Narayan, il perchè dell'isolamento delle vedove: una bocca da sfamare e un letto in meno per la famiglia, più spazio in casa.
Ragioni economiche travestite da rispetto per i testi sacri.E le cifre del fenomeno sembrano confermare questa tesi:le vedove nel mondo sono 245 milioni di cui 43 milioni soloin Cina e 42.4 milioni in India.115 milioni di esse vivono in totale povertà.
Il dato politico è emerso anche dalle dure contestazioni degli integralisti indù, arrivate fino al punto di bruciare il set o alle minacce di morte rivolte alla regista e agli attori del fim, che hanno costretto la produzione canadese a girare in segreto in Sri Lanka.
"Water", che fa parte della trilogia che comprende anche "Earth" e "Fire", mutua il suo messaggio anche dalle proprietà dell'acqua del fiume Gange nel quale si scende ogni mattina per lavarsi.
La modifica della condizione delle donne deve essere un processo fluido,costante che non deve riguardare solo le donne. Il processo è culturale per l'intera comunità ed è molto significativoche Deepa Mehta scelga un uomo giovane (e colto seguace di Gandhi) per spiegare alle vedove i veri motivi della loro condizione.
Concludo dicendo che il film ha una sua aurea potente che lo innalza al valore più antico di storia/Storia e che ci si offre come un piccolo gioiello d'arte cinematografica.Voto 10.

lunedì 2 agosto 2010


Ae Fond Kiss è un “classico” film sull'Integrazione Multiculturale.
Classico perchè riproduce la realtà che ci si aspetta di vedere in termini di mancata integrazione,
classico perchè parla di una storia di amore.
Ho cercato molto in giro questo film uscito nel 2004, perchè mi interessava vedere come l'Inghilterra vivesse, anche se attraverso gli occhi del regista Ken Loach, un conflitto che,
non è solo razziale, ma generazionale.
Un'altra artista inglese, la scrittrice Zadie Smith, aveva raccontato questo conflitto nel libro
Denti Bianchi”(recensito dalla sottoscritta per la rivista letteraria Samgha), facendoci innamorare dei suoi personaggi, dai genitori ai figli, ai nipoti.
In questo film, invece si acuisce il contrasto tra Casim, unico figlio maschio di una famiglia di origine pakistana, ed i propri genitori, a causa di un matrimonio già prestabilito.
Sembra cioè che sia il contrasto il vero protagonista del racconto: i personaggi sono azzeccati, ma difficilmente riescono a scrollarsi di dosso la figura di figlio/a, genitore, insegnante, prete. Il pregiudizio, che sia dei neri contro i bianchi e viceversa o degli immigrati verso il popolo ospitante, domina la vita di ognuno, oscura una possibilità di conoscenza
che richiede cultura ed empatia.
L'unica sfumatura diversa è data dalla narrazione della storia d'amore tra Casim e l'irlandese Roisin: il loro amore si fonda sulla naturalezza.
Nelle dinamiche che coinvolgono strettamente i due ragazzi domina il desiderio di conoscersi e fidarsi/affidarsi l'uno all'altro. La diversità è solo negli occhi esterni alla coppia che viaggia su un binario profondamente umano, quello del cuore, che non conosce le distinzioni di ruolo, classe o colore (e se le conosce prova ad infrangerle).
Non è un film che propone soluzioni o prospettive innovative per l'Integrazione: semplicemente fotografa quello che è, come sia standardizzato quello che è, e come possano essere sballati tutti i pregiudizi quando a guidare non è il ruolo che si gioca in società, ma un vivere diverso. Proprio da essere umano.

giovedì 8 luglio 2010


Ho scoperto la voce particolare di un'artista di origine nigeriana, ma in effetti, cittadina del mondo. Il suo nome Layori significa "salvata dalla grazia".
E se nel nome di una persona si incomincia a tracciare un segno della sua vita futura, allora Layori è il nome giusto per una cantante la cui voce soffusa riunisce diverse emozioni.
Una grazia dolce ed antica nei canti pervasi dalla tradizione yoruba, virtuosismi e padronanza nei movimenti jazzisti.
Il suo album di esordio "ORIGIN" mette in luce i diversi aspetti di una voce dai molti raggi di rifrazione.



















Ad Italo Zannier si deve una collezione di immagini che descrivono la storia della Fotografia Italiana.
Questo enorme patrimonio di ricerca, che include albumine e carte salate di fine '800, per passare dalle foto degli anni '30 e '40, al neorealismo fino alle ultime tendenze, è
attualmente in mostra presso la Fondazione Bevilacqua La Massa di Venezia, fino al 18 luglio.
Un esempio del "furore delle immagini" (splendido titolo della mostra) sono i paesaggi ("landscape") di Franco Fontana.
"Il Furore delle Immagini"
dal 16 aprile al 18 luglio 2010
c/o la Fondazione Bevilacqua La Massa, Venezia.




domenica 4 luglio 2010

La nuit des oiseaux, olio




Dal mare alla collina, olio



Cittadine, olio




La sinapsi di Carlo, olio



Maschio, acquerello light




Compagno, acquerello light





Kissbird, acquerello





Scontenti, acquerello collage




Il cielo, acquerello collage





Esodo, acquerello collage



Accadere, Acquerello Collage

Tra oli ed acquerelli, il tracciato della pulsante vita interiore di Carlo Dezzani, ci conduce nei luoghi suoi della memoria e delle sensazioni che, passando attraverso gli sfumati rilasci di colore ed ombre, ci riportano lì: proprio dove vogliamo essere.

domenica 27 giugno 2010



La bambina con il secchio sulla testa è il simbolo di tutta la popolazione mondiale che non ha accesso all'acqua potabile.
La società moderna (occidentale) cominciò a crescere e prosperare quando furono trovate delle soluzioni per rifornire d'acqua delle concentrazioni sempre più grandi di persone e di rimuovere l'accumulo dei rifiuti prodotti dalle città, riducendo le epidemie.
Acqua sporca è uguale a malattia, dunque.
Si distinguono le malattie in:
- " waterborne diseases": provocate in chi beve acqua contaminata, specie da batteri derivati da escrementi umani. Le conseguenze sono disturbi intestinali e diarroici.
- "water-washed diseases": malattie provocate in persone che si lavano con acqua contaminata. Gli effetti sono cecità e disturbi diarroici.
- "water-based diseases": provocate dai parassiti che vivono in acqua o richiedono la presenza di acqua per parte del ciclo vitale. Le malattie provocate possono essere la dracunculosi (causata da un verme lungo fino a un metro, la filaria di Medina, che fuoriesce in maniera molto dolorosa dalla pelle della vittima) e la schistomiasi (un'infezione ematica che colpisce circa 200 milioni di persone in 70 paesi, con danni al fegato e all'intestino)



Questa immagine di Lewis Hine, insieme a molte altre da lui prodotte, hanno rappresentato la condizione del lavoro minorile in fabbrica negli Stati Uniti. Parliamo di soli 100 anni fa.





Questa immagine di Mathew Brady ebbe il merito, insieme ad altre, di rappresentare gli effetti della Guerra di Secessione americana agli americani stessi.
Finchè non vedi, non credi.




Jacob Riis rappresentò o meglio mostrò le condizioni di estrema povertà dei sobborghi più emarginati di New York.





Le tragiche immagini di Eddie Adams della Guerra nel Vietnam parlano da sole.
Tutti questi fotogiornalisti, definiti "muckraker", cioè coloro che amano pescare nel torbido, hanno catturato il "momento decisivo" (secondo l'espressione di Henri Cartier-Bresson).
I loro reportage, cioè le raccolte di un insieme di momenti decisivi, hanno prodotto dei cambiamenti reali.
Ma può il fotogiornalismo raccontare la Storia?
Si pone questa domanda David Elliot Cohen, il curatore del libro "Quello che conta" che ha raccolto alcune immagini decisive e i commenti di importanti giornalisti, per ripondere che
il fotogiornalismo non è il metodo migliore per raccontare la Storia (alcuni fenomeni come la corruzione non possono essere documentati con immagini), ma è uno strumento potente se "personale e mirato" cioè quando ritrae individui e contemporaneamente trasmette un messaggio universale.
In un mondo saturo di immagini, è difficile trovare un varco per scuotere le coscienze.
Eugene Smith dice:" Ogni giorno siamo sommersi dalla fotografia nel suo aspetto peggiore - finchè la sua patina di superficialità non minaccia di paralizzare la nostra sensibilità all'immagine".
Il grande merito di "Quello che conta" è di istruirci attraverso la vista, e di produrre una riflessione.
I temi affrontati spaziano da:
- Uomo contro la Terra (surriscaldamento globale, disastri ambientali, mancanza d'acqua)
- Uomo contro Uomo (genocidio, il tragedia del Darfur, la Jihad Globale, gli USA che seppelliscono i caduti in Iraq)
- Distribuzione della ricchezza (povertà globale, corsa ai consumi, lavoro minorile in Bangladesh, le spose bambine in Afghanistan, Nepal ed Etiopia, il prezzo della petrodipendenza)
- Uomo contro malattia (l'AIDS nella Africa Subsahariana, la malaria)
 

Copyright 2010 Suomii at work.

Theme by WordpressCenter.com.
Blogger Template by Beta Templates.