domenica 6 giugno 2010



«Obatalà, dio del cielo. Chango, dio del fulmine. Ogun, dio della guerra. Yemenjà, dio del mare. Si riunirono e scelsero una donna. Quella donna nacque, crebbe e vide molto dolore. Divenne guerriera, per necessità. Per distruggere la sua forza, i nemici trasformarono il suo volto in un'icona pop. La sua faccia era dappertutto, anche nelle camerette degli adolescenti brufolosi. Anche nel museo degli eroi commercializzabili. Quel giorno, una donna anziana, ma stabile sulle gambe, entrò nel museo, si fermò davanti all'icona di lei da giovane, trasse un profondo respiro e, con la forza di un intero popolo, distrusse l'icona in mille pezzi vetrosi, i quali esplosero fino a migliaia di km di distanza».


I quattro dèi citati all'inizio del racconto rappresentano alcune delle principali divinità delle popolazioni yoruba, africani dell'attuale Nigeria i quali, insieme ai popoli di quelli che oggi chiamiamo Benin, Ghana, Congo e Sudan, furono le fonti di provenienza degli 11 milioni di africani importati coattamente nelle Americhe, negli arcipelaghi del Mar dei Caraibi, in Brasile, Colombia, Ecuador e Perù, tra l'inizio del 16° secolo e la fine del 19°. La donna simbolica del racconto è Angela Davis. Immaginata prescelta dagli antichi dèi dei popoli africani, sono sicura che essa rifiuterebbe questa mia interpretazione. Se una forza soprannaturale esiste e presceglie, è quella della Storia, mi direbbe. Conosciamo la Storia, dunque.

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