domenica 7 marzo 2010


E' stato definito il "film scandalo sull'immigrazione". Ha generato controversie e dibattiti, fin
da quando è stato presentato all'ultimo Festival di Berlino. Il regista, Philippe Lioret, ha accumunato le leggi repressive per i Francesi che aiutano i clandestini (e di cui si racconta nel film) a quelle vigenti durante la follia nazista contro gli ebrei.
E' "Welcome", uno degli ultimi film del 2009 a scagliarci in una riflessione a-temporale.
Si narra della storia di Bilal, un diciassettenne curdo, il quale attraversa tutta l'Europa per sfuggire alla guerra e per raggiungere l'Inghilterra, e la sua ragazza Mina.
L'ostacolo è Calais. Un tempo il varco per riportare la libertà in Europa (le truppe alleate scelsero il Pas de Calais come approdo in Normandia), oggi Calais è la "giungla di Calais", un non-luogo dove molti clandestini provano ogni mezzo per la traversata verso l'Inghilterra.
Il film descrive l'abbandono morale di questa realtà. E' un limite Calais, non solo geografico, è un limite morale, anzi è il limite dell'amoralità che abbiamo già sorpassato.
Calais come Rosarno.
Quello che mi ha colpito profondamente di questo film è l'opposizione tra la tenacia alla vita dei migranti e la durezza delle leggi francesi (fino a cinque anni per chi aiuta un clandestino), che rendono uno slogan volgare le parole Libertè, Egalitè, Fraternitè.
Quando le recenti leggi sulla clandestinità sono passate anche in Italia, ho personalmente pianto come una bambina. Pensavo che un'altra aberrazione fosse stata aggiunta alla lista, ma poi, la normalità prende il sopravvento, il sole splende di nuovo, i tuoi problemi ti arraffano e non senti più l'urgenza di combattere contro lo stesso concetto di clandestinità.
Poi succede che incontri una persona "clandestina" (nessuno nasce clandestino in natura, sono gli uomini gli artefici di tali concetti) , ci parli, ti sorride e scopri quanto sia alta l'ingiustizia stessa di definire tale un essere umano e come tale ingiustizia possa incarnarsi nei lineamenti stanchi di un ragazzo o di una ragazza.
Perchè come per Bilal, il protagonista del film, di gioventù bruciata stiamo parlando. Non quella bruciata dall'alcool o dalle droghe, ma bruciata dalla voglia di vita. Ostacolata fino alla morte.
Questo film, profondo e sofferente, è un importante strumento per meditare sulla direzione intrapresa dalla nostra amata Europa.

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