sabato 18 dicembre 2010
venerdì 3 dicembre 2010
domenica 28 novembre 2010
E’ la fotografia ad aver scelto me!
A 16 anni, prima di partire per una vacanza, i miei genitori mi regalarono una vecchia macchina fotografica Mamiya. La mia prima vera macchina fotografica e… fu subito amore!
Quando dovetti scegliere la facoltà universitaria da seguire, decisi per architettura, ma volli comunque portare avanti la mia passione per la fotografia.
L’università che frequentavo incoraggiava tutte le espressioni artistiche: c’erano 6/7 camere oscure a disposizione degli studenti. Decisi di imparare i fondamenti della fotografia, e da allora ho iniziato a sperimentare.
Ho passato intere notti all’interno della camera oscura, il mio rifugio dallo stress da studio.
A parte i corsi per imparare i fondamenti della fotografia, per il resto sono stata un’autodidatta che ancora oggi continua ad imparare.
Mi piace esplorare e la sfida di catturare l’essenza di un posto o di una persona ritratta è ciò che mi ha portato fin qui.
Un mio professore mi lasciò questo insegnamento: quello che è necessario (nella fotografia) è rendere familiare ciò che è sconosciuto, e sconosciuto ciò che già conosciamo.Queste parole sono sempre state un fondamento del mio viaggio nella fotografia.
Ero lì con la mia famiglia e decidemmo di fare un giro per la città.
Il momento più importante fu quando ci fermammo in un piccolo tempio: fuori era pieno di gente, si camminava a fatica tanto era brulicante di persone!
Dal tempio arrivavano ondate di profumo di incenso così forti, quasi come il rumore dei motori che ti sfrecciavano accanto.
Una volta entrati nel tempio, venivi accolto da una sensazione di pace, che ti faceva quasi dimenticare la follia che c’era fuori.
C’erano diverse statue del Buddha. Questa statua era su un lato. Era stata adornata dai credenti con dei fiori.
I fiori rosa emergevano sull’oro del corpo della statua.Non ho resistito, ed ho scattato alcune fotografie, prima di correre verso un’altra meta.
Un mio amico mi parlò di Etsy circa due anni fa, ma ho seriemente preso in considerazione questo sito per le mie foto solo quest’anno. Sono stata in alcune fiere e mercati locali, ma il ritorno economico era piccolo a fronte di un grande lavoro. Così ho deciso di aprire un negozio on line.
Etsy ha una grande community che non trovi nella maggior parte dei market on line, ed inoltre amo che promuova la vendita di oggetti antichi e/o artigianali. Inoltre, offre un grande supporto per i veditori. In ultimo, ho avuto la possibilità di conoscere artisti e amanti dell’arte, cosa che non avrei mai potuto fare con un negozio tradizionale o lavorando nelle fiere locali.
sabato 13 novembre 2010
sabato 30 ottobre 2010
Tra le piacevoli sorprese che Youtube ogni tanto ci regala, piano piano dalla sua nicchia di appassionati, sta emergendo Karim Tiar, nome d'arte il Karinzio, il quale con una tecnologia domestica e allo stesso tempo altamente professionale, ci porta a conoscere (ed evitare!!!) con ironia e competenza alcuni gioielli del cinema definiti "trash".
Il concetto di trash ingloba tante sfumature: bruttezza, incompetenza, risorse limitate, a volte talenti alle prime armi.
E produce sane, anzi no sanissime risate che Karinzio amplifica con la sua naturale dote di comicità.
Quindi, sedetevi comodi, preparate fazzolettini (per asciugarsi le lacrime per la disperazione e il divertimento) e godetevi i video che Karinzio – con una sempre maggiore bravura – pubblica nel suo canale di Youtube: www.youtube.com/Karinzio, insieme all'intervista che mi ha gentilmente rilasciato. J
Siamo qui con Karinzio beccato al volo tra una ripresa e l'altra del suo canale youtube Karinzio, che ci introdurrà nel fantastico mondo del cinema trash.
Suomii: Ciao Karinzio, spiegaci subito cos'è per te il trash?
Karinzio: Ecco il trash ufficialmente sono quei film così brutti, ma così brutti da toccare il sublime, e che, non intenzionalmente, strappano delle risate! Ma devono essere delle vere ciofeche!!! E In Italia vantiamo il film più brutto del mondo!!!
Suomii: Ah sì, e di quale film si tratta?
Karinzio: Si tratta di "Troll 2" di Claudio Fragasso che allora uscì per il mercato mondiale sotto lo pseudonimo di Drake Floyd. La critica internazionale si è espressa all'unisono nei confronti di questo scempio cult. Fragasso è stato quindi la vittima di una mia delle mie prime recensioni ...
Suomii: Appunto volevo chiederti come scegli i film da recensire? La scelta è basata solo sul concetto di trash?
Karinzio: Bella domanda.. diciamo che parto da una cultura di vecchi film.
Ho iniziato ad interessarmi alle serie apocrife per dirla tutta già negli anni '90. Negli anni successivi, ho cercato gli articoli su quei film appena intravisti in tv o nello scaffale delle videoteca di turno. Leggendone i commenti ne venivo attratto e faccio tutt'ora in modo di procurarmi quel tale film .. e se mi inorridiscono a sufficienza traduco questo brivido in recensione.
Preciso che per serie apocrife intendo la mania tutta italiana di fare dei falsi Terminator 2 o Zombi 2 assolutamente non originali che fanno da specchio per le allodole al pubblico meno esperto.
Suomii: ma il tuo intento reale è di invogliarci a guardarli oppure scapparne a gambe levate?
Karinzio: Eheheh! Allora da un lato è una cosa che voglio condividere come punto di vista e come sfogo pure. In casi estremi , cerco di ragguagliare lo spettatore ad evitare la visione del film assolutamente. Poi è liberissimo di farlo, a suo rischio e pericolo!
Suomii: Pensi che questi film rappresentino - a loro modo - uno sforzo creativo o sono semplici operazioni commerciali?
Karinzio: Spesso i film tipicamente trash includono un' incompertenza registica con un bassissimo budget, unitamente a una risibile recitazione.
Ma può anche capitare che un film trash possa diventare un capolavoro. Mi riferisco ad esempio a Cameron che con un Terminator con budget da B-movie abbia poi scatenato un fenomeno .. lì evidentemente c'era una storia e siamo arrivati a Titanic o Avatar.. ma sono casi di talenti alle prime armi. Ci sono poi i casi di strategia commerciale del produttore che preda sull'anima del regista ( se un' anima possiede..)
Suomii: i tuoi video stanno diventando sempre più professionali… parlaci del tuo approccio alla loro costruzione.
Karinzio : il mio approccio vorrebbe essere come del migliore un amico che ti racconta il film che ha appena visto con tutto l'entusiasmo e la foga relativa. Con questo speravo di ottenere un consenso almeno iniziale...ma senza pretese di critica d'arte o altro ..Un po' alla volta tutto è diventato una vera e propria rubrica. Quindi, il linguaggio deve essere già più autorevole.. ma sempre e comunque amichevole, accessibile,easy
Suomii: I tuoi video sono molto curati nel montaggio e ci sono alcuni effetti speciali legati alle tue "apparizioni": disponi di una tecnologia molto avanzata?
Karinzio: Diciamo che ho un attento e fissato uso delle tecnologie.. Sono di questa filosofia: se lo usano i professionisti, io devo impadronirmene.
Suomii: Ritorniamo al concetto di trash: lo consideri a suo modo cultura?
Karinzio: Secondo me, si. La cultura è un substrato di prodotti discutibili che hanno occupato comunque indegnamente un pezzo di storia del cinema che non può sempre essere lustro ..
Suomii: Spiegaci da dove nasce la tua passione per il cinema e - direi - anche per la recitazione…
Karinzio: Da piccolo, quando andavo a trovare la famiglia di mio padre dalle parti di Parigi, avevo tutti i miei zii altrettanto appassionati che mi portavano a vedere un sacco di film. Forse associo l'essere coccolato a questo meravigliosa magia.. ma credo che la passione sia frutto dei primi cartoni animati. Il mio primo film fu Pinocchio su grande schermo alla tenera di 3 anni. E' una passione piuttosto comune credo .. e quella a cui mi riferisco riguarda non solo i film trash...
Suomii: Ok, ringraziamo allora Karinzio per questa intervista: un simpatico traghettatore nel fantastico mondo del cinema orribile! Ci fai un saluto?
Karinzio: Ci vediamo allora innnnn Century... ZOZZ! Ciao a tutti gli amici del blog! e grazie a te Suomii...
Ecco a voi la recensione di Resident Evil Afterlife 3D
domenica 24 ottobre 2010
domenica 26 settembre 2010
domenica 19 settembre 2010
Straniamento: è questo il leit motiv di "The American", il film del regista Anton Corbjn, con George Clooney e Violante Placido.
Jack, il protagonista, killer professionista ed esperto di armi uccide, durante un agguato in Svezia, una ragazza che stava frequentando, solo per non svelare la sua vera identità.
Tale omicidio "gratuito" rimarrà come un peso sulla coscienza di Jack, il quale entra in una fase della sua vita in cui "inizia a perdere colpi", a compromettere cioè la macchina oliata delle azioni criminali nelle quali è coinvolto perché è stanco di quella vita stessa.
Lo straniamento, va detto, a volte coglie anche lo spettatore (almeno a me è successo così!) che da un thriller si aspetterebbe qualcosa di diverso: più azione,
più ritmo: invece c'è molto più movimento interiore nel personaggio, anche se va colto attraverso le pause, i silenzi e le camminate.
Un merito: l'aver rappresentato geograficamente l'Abruzzo, con le sue valli larghe ed a volte desolate con una fotografia apprezzabile.
E' il resto della rappresentazione dell'Italia che lascia un po' a desiderare : vecchietti nei bar, vecchietti nelle piazze, baristi che guardano un film di Sergio Leone, un bordello in un paesino di provincia, processioni religiose.
Un'Italia vecchia, antica a tratti con i suoi borghi medioevali, ma statica, ferma su sé stessa è lo sfondo in cui il cambiamento del protagonista richiede forse un luogo esteriore sempre uguale a sé stesso.
George Clooney riesce a rappresentare un uomo algido, freddo, una macchina di morte, ma manca qualcosa soprattutto nella rappresentazione del tormento interiore.
Violante Placido, la quale interpreta una prostituta, ha un solo momento di intesa attoriale con Clooney: lui è seduto al bar, lei passa davanti alla vetrina con l'amica, lo vede, entra ed inzia un dialogo tra i due che si svolge soprattutto attraverso i loro sguardi: una scena in cui tra i due protagonisti scorre un'emozione più intima.
Voto: 6
lunedì 13 settembre 2010
Cito testualmente dalla biografia della sua pagina di MySpace: “ Musicalmente e geograficamente, Natacha Atlas è sempre stata un’itinerante”.
Ma credetemi questa definizione è solo parzialmente esaustiva dell’enorme lavoro di ricerca musicale e di indiscussa bravura che rende l’ascolto di un cd di questa artista un’esperienza da dover fare.
Il “trionfo del multiculturalismo” nel suo caso è puro contenuto: senti all’interno della sua voce sensuale e ipnotica, l’aver macinato interiormente la cultura anglosassone e quella egiziana dell’origine parentale.
Ma poi, è tutto un vagare: ascoltando un cd come “Mounqaliba” mi sono ritrovata in Oriente, e poi scagliata in un piccolo club di jazz newyorkese, per poi passaggiare romanticamente sotto quel grande ferro che è la Tour Eiffel.
Nata in Belgio, Natacha è cresciuta in un sobborgo a prevalenza marocchina a Bruxelles e ha presto imparato a destreggiarsi in Francese, Inglese, Arabo e Spagnolo.
La sua vita è stato un movimento continuo ed un cross-over di luoghi che le hanno valso collaborazioni importanti (vedi anche con Franco Battiato in “Ferro Battuto”, per citarne solo una) e riconoscimenti come Miglior Cantante al Victoire de la Musique Awards (i Grammy francesi).
Da non sottovalutare poi, l’impianto anche concettuale presente nei suoi lavori: sempre in “Mounqaliba”, le melodie arabe, ispirate alla tradizione egiziana, sono intervallate da interludi classici e voci di intellettuali che spiegano come “men are moulded by culture” (gli uomini sono modellati dalla cultura).
Però, è proprio questo che rende l’ascolto indimenticabile: l’idea di una Nuova Cultura, mista e preziosa, odierna ed antica, che non perde nulla, ma acquista un sapore conosciuto.
Solo da reimparare.
domenica 12 settembre 2010
Nelle crepe di un mondo imbestialito, si intravedono rararmente spiragli di fulgida bellezza: una scultura significante, un dipinto che invade il cuore, una poesia potente.
Frutti di una cultura umana sopraelevata, quando li incontriamo hanno il potere di uno schiaffo
ristoratore o di quella carezza che aspettavamo da tempo, senza avere il coraggio di chiederla.
Tuba Sahaab è una donna giovanissima: 11 anni. Una bambina?
No,una donna giovanissima: se il contenitore deve esaltare il contenuto, questa è una definizione possibile.
Ed è una poetessa: i suoi versi che hanno raggiunto i quattro angoli del pianeta, partono
dalla periferia di Islamabad nel Pakistan ed, in linea retta, giungono a me, a te, a chiunque abbia voglia di svegliarsi.
Piccole lacrime
le loro facce simili a quelle degli angeli
lavate col sangue.
Loro dormono per sempre con rabbia
Un'ambasciatrice della cultura a tutti gli effetti: la piccola signora delle parole, con il suo
talento stesso, è un simbolo contro la non-cultura repressiva ed oscurante dei talebani,
i quali impediscono alle bambine di ricevere un'istruzione e alle donne di lavorare.
Mi piace molto Tuba: la immagino scrivere un ponte di parole, invisibili e ferme come marmo, per passare dall'altra parte e raggiungere la mano del primo che volesse - cieco! - scagliare
la pietra contro Sakineh.
venerdì 3 settembre 2010
"Per favore, faccia un bel respiro e dica '70!!!!" E' questa la nuova formula per l'elisir di lunga giovinezza: un tuffo un pelino indietro in un tempo, quello degli anni Settanta, fatto di colori a tinte forti, contrasti e nuovi miti che esplodono di forza espressiva non appena li rievochi.
domenica 22 agosto 2010
Una macchina, sulle note vibranti del violino, si allontana dalla grande proprietà che, lentamente, sparisce dietro la curva, sostituita dal paesaggio verde e grigio della campagna belga.
L'ultima scena chiude il cerchio del film, iniziato con la dedica iniziale "a nos limites" (ai nostri limiti), per raccontare come gli oggetti, i possedimenti diventino molto spesso i catalizzatori
di battaglie che nascono prima all'interno, nei cuori.
Pascale è la madre divorziata di Thierry e Francois (Jérémie e Yannik Renier)da, due gemelli venticinquenni, non ancora emersi dall'adolescenza.
Dopo anni di responsabilità familiari avvertite come sacrificio, complice anche l'innamoramento per Jan, Pascale inizia a pensare di vendere la casa che le è stata lasciata dall'ex-marito Luc e dove sono cresciuti i suoi figli per aprire un agriturismo.
Da una sensazione di fastidio per quella che può apparire una scelta egoistica della madre, soprattutto perchè sottolineata dai continui commenti offensivi di Thierry il quale riproduce in casa distortamente gli atteggiamenti paterni, lentamente lo spettatore apprezza lo sforzo di Pascale di costruire, attraverso la propria ricerca di autonomia dalle dinamiche familiari alterate, anche l'indipendenza dei propri figli.
Il conflitto tra Thierry e Pascale, supportata dal più "materno" Francois, nel momento in cui la madre uscirà fuori dalla scena, diventerà quello del fratello contro il fratello.
Per cose apparentemente minori: una moto presa senza chiedere il permesso, il modo di mangiare, una battuta.
Isabelle Huppert porta in scena una madre sul cui viso traspare una stanchezza, mista ad una sorta di rilassatezza emotiva. Non c'è dialogo tra madre e figli: alcuni atteggiamenti ambigui di Pascale anzi l'espongono a commenti sempre più malevoli da parte di Thierry sulla sua vita sessuale. Ma comunque con la sua presenza resta il fragile collante che tiene unita la famiglia.
Il padre Luc, interpretato da Patrick Descamps, una figura fisicamente imponente, è moralmente assente dalla vita dei figli, eccetto per il sostentamento economico, il paletto a cui si aggrappa per le sue rivendicazioni.
Il regista, Joachim Lafosse, resta sombrio e non ingombrante, per dare risalto alla narrazione di dinamiche familiari le quali richiedono sempre uno sforzo di interpretazione profonda: sono quelle catene che tutti conosciamo, un misto di sofferenza e di interessi personali, dalle quali ci sentiamo legati e dalle quali proviamo a liberarci, con goffi e violenti tentativi, che sortiscono l'effetto solo di restringerle sempre più forti.
mercoledì 11 agosto 2010
lunedì 2 agosto 2010
Classico perchè riproduce la realtà che ci si aspetta di vedere in termini di mancata integrazione,
classico perchè parla di una storia di amore.
Ho cercato molto in giro questo film uscito nel 2004, perchè mi interessava vedere come l'Inghilterra vivesse, anche se attraverso gli occhi del regista Ken Loach, un conflitto che,
non è solo razziale, ma generazionale.
Un'altra artista inglese, la scrittrice Zadie Smith, aveva raccontato questo conflitto nel libro
“Denti Bianchi”(recensito dalla sottoscritta per la rivista letteraria Samgha), facendoci innamorare dei suoi personaggi, dai genitori ai figli, ai nipoti.
In questo film, invece si acuisce il contrasto tra Casim, unico figlio maschio di una famiglia di origine pakistana, ed i propri genitori, a causa di un matrimonio già prestabilito.
Sembra cioè che sia il contrasto il vero protagonista del racconto: i personaggi sono azzeccati, ma difficilmente riescono a scrollarsi di dosso la figura di figlio/a, genitore, insegnante, prete. Il pregiudizio, che sia dei neri contro i bianchi e viceversa o degli immigrati verso il popolo ospitante, domina la vita di ognuno, oscura una possibilità di conoscenza
che richiede cultura ed empatia.
L'unica sfumatura diversa è data dalla narrazione della storia d'amore tra Casim e l'irlandese Roisin: il loro amore si fonda sulla naturalezza.
Nelle dinamiche che coinvolgono strettamente i due ragazzi domina il desiderio di conoscersi e fidarsi/affidarsi l'uno all'altro. La diversità è solo negli occhi esterni alla coppia che viaggia su un binario profondamente umano, quello del cuore, che non conosce le distinzioni di ruolo, classe o colore (e se le conosce prova ad infrangerle).
Non è un film che propone soluzioni o prospettive innovative per l'Integrazione: semplicemente fotografa quello che è, come sia standardizzato quello che è, e come possano essere sballati tutti i pregiudizi quando a guidare non è il ruolo che si gioca in società, ma un vivere diverso. Proprio da essere umano.
giovedì 8 luglio 2010
Ho scoperto la voce particolare di un'artista di origine nigeriana, ma in effetti, cittadina del mondo. Il suo nome Layori significa "salvata dalla grazia".
E se nel nome di una persona si incomincia a tracciare un segno della sua vita futura, allora Layori è il nome giusto per una cantante la cui voce soffusa riunisce diverse emozioni.
Una grazia dolce ed antica nei canti pervasi dalla tradizione yoruba, virtuosismi e padronanza nei movimenti jazzisti.
Il suo album di esordio "ORIGIN" mette in luce i diversi aspetti di una voce dai molti raggi di rifrazione.
Ad Italo Zannier si deve una collezione di immagini che descrivono la storia della Fotografia Italiana.
domenica 4 luglio 2010
La sinapsi di Carlo, olio
Maschio, acquerello light
Compagno, acquerello light
Kissbird, acquerello
Il cielo, acquerello collage
Esodo, acquerello collage
domenica 27 giugno 2010
La bambina con il secchio sulla testa è il simbolo di tutta la popolazione mondiale che non ha accesso all'acqua potabile.
Questa immagine di Mathew Brady ebbe il merito, insieme ad altre, di rappresentare gli effetti della Guerra di Secessione americana agli americani stessi.
Jacob Riis rappresentò o meglio mostrò le condizioni di estrema povertà dei sobborghi più emarginati di New York.