lunedì 27 settembre 2010



Hands in Solidarity, Hands of Freedom

domenica 26 settembre 2010





Rokia ha sempre sentito dentro di sè un "suono", una musica tutta sua che doveva trovare un'espressione.

Figlia di diplomatici ha viaggiato in Europa, Medio-Oriente, Usa. Ed ogni musica ascoltata si è fusa, amalgamata con la potente radice africana.

Cosciente quasi sin da subito di non voler essere una cantante folk, ha accolto nella sua anima musicale la tradizione malese, dandole una forma personale e direi "universale".

Rokia infatti fa parte di quella generazione di artisti fortemente connotati ma universali: in grado di trasportare con il suono di una voce unica la musica oltre i confini geografici e di mostrarci - come su un vassoio di argento - i mille riflessi di melodie lontane dal nostro orecchio occidentalizzato.

Si, perchè veniamo portati per mano in questo viaggio nella musica africana da una traghettatrice di eccezione - per talento e bravura - la quale ci mostra il lungo continuum che c'è tra i ritmi arcaici ed il blues, il jazz.

La sua versione di "The Man I Love" è un esempio di questo sincretismo: parte così come la conosciamo, caposaldo del jazz, per virare dolcemente verso i gorgheggi africani.

Nel viaggio, una compagna inseparabile per Rokia: la sua chitarra elettrica Gretsch che si mischia con i tradizionali strumenti n'goni e balafon.

Elegante e minuta, ma non lasciatevi ingannare: la sua immagine artistica è forte e trasuda cultura.

Anche quella della scrittura dei testi (incentrati anche sui temi dell'emigrazione e della condizione delle donne) e della raffinata arte che accompagna le copertine dei suoi dischi.


per acquistare i suoi album (ad un prezzo irrisorio):


domenica 19 settembre 2010





Straniamento: è questo il leit motiv di "The American", il film del regista Anton Corbjn, con George Clooney e Violante Placido.


Jack, il protagonista, killer professionista ed esperto di armi uccide, durante un agguato in Svezia, una ragazza che stava frequentando, solo per non svelare la sua vera identità.


Tale omicidio "gratuito" rimarrà come un peso sulla coscienza di Jack, il quale entra in una fase della sua vita in cui "inizia a perdere colpi", a compromettere cioè la macchina oliata delle azioni criminali nelle quali è coinvolto perché è stanco di quella vita stessa.


Lo straniamento, va detto, a volte coglie anche lo spettatore (almeno a me è successo così!) che da un thriller si aspetterebbe qualcosa di diverso: più azione,


più ritmo: invece c'è molto più movimento interiore nel personaggio, anche se va colto attraverso le pause, i silenzi e le camminate.


Un merito: l'aver rappresentato geograficamente l'Abruzzo, con le sue valli larghe ed a volte desolate con una fotografia apprezzabile.


E' il resto della rappresentazione dell'Italia che lascia un po' a desiderare : vecchietti nei bar, vecchietti nelle piazze, baristi che guardano un film di Sergio Leone, un bordello in un paesino di provincia, processioni religiose.


Un'Italia vecchia, antica a tratti con i suoi borghi medioevali, ma statica, ferma su sé stessa è lo sfondo in cui il cambiamento del protagonista richiede forse un luogo esteriore sempre uguale a sé stesso.


George Clooney riesce a rappresentare un uomo algido, freddo, una macchina di morte, ma manca qualcosa soprattutto nella rappresentazione del tormento interiore.


Violante Placido, la quale interpreta una prostituta, ha un solo momento di intesa attoriale con Clooney: lui è seduto al bar, lei passa davanti alla vetrina con l'amica, lo vede, entra ed inzia un dialogo tra i due che si svolge soprattutto attraverso i loro sguardi: una scena in cui tra i due protagonisti scorre un'emozione più intima.


Voto: 6

lunedì 13 settembre 2010


Cito testualmente dalla biografia della sua pagina di MySpace: “ Musicalmente e geograficamente, Natacha Atlas è sempre stata un’itinerante”.

Ma credetemi questa definizione è solo parzialmente esaustiva dell’enorme lavoro di ricerca musicale e di indiscussa bravura che rende l’ascolto di un cd di questa artista un’esperienza da dover fare.

Il “trionfo del multiculturalismo” nel suo caso è puro contenuto: senti all’interno della sua voce sensuale e ipnotica, l’aver macinato interiormente la cultura anglosassone e quella egiziana dell’origine parentale.

Ma poi, è tutto un vagare: ascoltando un cd come “Mounqaliba” mi sono ritrovata in Oriente, e poi scagliata in un piccolo club di jazz newyorkese, per poi passaggiare romanticamente sotto quel grande ferro che è la Tour Eiffel.

Nata in Belgio, Natacha è cresciuta in un sobborgo a prevalenza marocchina a Bruxelles e ha presto imparato a destreggiarsi in Francese, Inglese, Arabo e Spagnolo.

La sua vita è stato un movimento continuo ed un cross-over di luoghi che le hanno valso collaborazioni importanti (vedi anche con Franco Battiato in “Ferro Battuto”, per citarne solo una) e riconoscimenti come Miglior Cantante al Victoire de la Musique Awards (i Grammy francesi).

Da non sottovalutare poi, l’impianto anche concettuale presente nei suoi lavori: sempre in “Mounqaliba”, le melodie arabe, ispirate alla tradizione egiziana, sono intervallate da interludi classici e voci di intellettuali che spiegano come “men are moulded by culture” (gli uomini sono modellati dalla cultura).

Però, è proprio questo che rende l’ascolto indimenticabile: l’idea di una Nuova Cultura, mista e preziosa, odierna ed antica, che non perde nulla, ma acquista un sapore conosciuto.
Solo da reimparare.


domenica 12 settembre 2010












Nelle crepe di un mondo imbestialito, si intravedono rararmente spiragli di fulgida bellezza: una scultura significante, un dipinto che invade il cuore, una poesia potente.


Frutti di una cultura umana sopraelevata, quando li incontriamo hanno il potere di uno schiaffo
ristoratore o di quella carezza che aspettavamo da tempo, senza avere il coraggio di chiederla.

Tuba Sahaab è una donna giovanissima: 11 anni. Una bambina?
No,una donna giovanissima: se il contenitore deve esaltare il contenuto, questa è una definizione possibile.

Ed è una poetessa: i suoi versi che hanno raggiunto i quattro angoli del pianeta, partono
dalla periferia di Islamabad nel Pakistan ed, in linea retta, giungono a me, a te, a chiunque abbia voglia di svegliarsi.

Piccole lacrime
le loro facce simili a quelle degli angeli
lavate col sangue.
Loro dormono per sempre con rabbia

Un'ambasciatrice della cultura a tutti gli effetti: la piccola signora delle parole, con il suo
talento stesso, è un simbolo contro la non-cultura repressiva ed oscurante dei talebani,
i quali impediscono alle bambine di ricevere un'istruzione e alle donne di lavorare.

Mi piace molto Tuba: la immagino scrivere un ponte di parole, invisibili e ferme come marmo, per passare dall'altra parte e raggiungere la mano del primo che volesse - cieco! - scagliare
la pietra contro Sakineh.

venerdì 3 settembre 2010

















"Per favore, faccia un bel respiro e dica '70!!!!" E' questa la nuova formula per l'elisir di lunga giovinezza: un tuffo un pelino indietro in un tempo, quello degli anni Settanta, fatto di colori a tinte forti, contrasti e nuovi miti che esplodono di forza espressiva non appena li rievochi.
Questa è l'arte di Francesco "Cisky" Gabriele.
Enjoy!




 

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